Israele, è questa la patria delle startup di successo!
Lo Stato ebraico vanta attualmente il più alto numero di aziende high tech per abitante: quasi cinquemila per otto milioni di persone. Una ogni 1600 abitanti!
È risaputo ai più: oggi Israele è considerata la patria dell’innovazione e delle startup, tra i Paesi trainanti a livello mondiale per capacità d’innovazione, investimenti in ricerca e sviluppo, cyber security, imprenditoria, ricerca scientifica, spesa per l’educazione, qualità delle istituzioni scientifiche e competenze in information technology. Lo Stato ebraico vanta attualmente il più alto numero di aziende high tech per abitante: quasi cinquemila per otto milioni di persone. Una ogni milleseicento. Meglio ripeterlo: 1 impresa IT ogni 1.600 abitanti.
Lo Stato ebraico vanta attualmente il più alto numero di aziende high tech per abitante: quasi cinquemila per otto milioni di persone. Una ogni milleseicento!
La parola magica: Exit
E c’è un altro dato a spiegare il successo: exit, la parola magica per un business angel o venture capital che sia. Parola che ancora in Italia fatica a registrarsi salvo qualche caso sporadico. Nel corso del 2015 (il dato è ancora parziale) secondo il giornale economico israeliano Globes, il numero delle exit tra le startup israeliane, tra acquisizioni e ingresso in borsa ha raggiunto i 3,8 miliardi di dollari, dato ben superiore rispetto ai 3,4 miliardi fatti registrare nel 2014.
Nel 2015 il numero delle exit tra le startup israeliane, tra acquisizioni e ingresso in borsa ha raggiunto i 3,8 miliardi di dollari
Ecco perché non deve stupire l’annuncio di una decina di giorni fa di Enel di lanciare un programma di supporto tecnologico per le imprese della cosiddetta Silicon Wadi, la versione israeliana della Silicon Valley. È chiaro l’intento della società partecipata dal Ministero del Tesoro (meglio non dimenticarlo, ndr) di stabilire una presenza nell’ecosistema israeliano dell’innovazione. Perché allora Enel guarda a Tel Aviv? E perché dovremmo farlo anche noi come Paese? Ma anche chi vuole fare impresa?
Un Paese per startup
Il sistema israeliano, vuoi per ragioni storiche e culturali (e militari) è particolarmente unico: essendo il mercato interno limitato, ogni startup nasce già con una visione e un business model internazionale, che può essere facilmente esportato nei vari paesi target, e soprattutto scalabile. Cosa che agli startupper italiani troppo spesso manca. Inoltre mentre nella Silicon Valley è strettissimo il connubio tra università e impresa, in Israele è il Governo ad aver creato un ecosistema legale e fiscale ideale per far sviluppare le idee più innovative e le imprese più dinamiche. Il risultato? Il Governo fa crescere l’economia e attira capitali, le multinazionali che aprono centri di ricerca risolvono molti dei loro problemi ed entrano in contatto con un ecosistema che può farle crescere più velocemente (anche per vie esterne), le startup trovano clienti (le multinazionali), fornitori di idee e talenti (tramite le università) e capitali. Bello vero?
In Israele è il Governo ad aver creato un ecosistema legale e fiscale ideale per far sviluppare le idee più innovative e le imprese più dinamiche
Ecco spiegato perché il ricco ecosistema dell’innovazione israeliano ha attirato oltre il 25% delle multinazionali globali che hanno insediato qui i loro R&D lab. La cultura dell’innovazione è centrale e lo è sia per le aziende, che per le istituzioni. Ecco la prima differenza sostanziale: da noi comanda la politica, a Tel Aviv lo sviluppo (non a parole, ma nei fatti).
I problemi in Italia
In Italia tuttavia i problemi non riguardano tanto la legislazione che è tra le più avanzate, ma il mercato del credito che è ancora bancacentrico. Anche in presenza di un elevato tasso di risparmio come quello italiano, oggi il principale problema del Belpaese in questo ambito è che non si è ancora sviluppato un mercato dei capitali e degli investitori istituzionali per le startup italiane.
In Italia i problemi non riguardano tanto la legislazione che è tra le più avanzate, ma il mercato del credito che è ancora bancacentrico
Gli investitori istituzionali, i fondi di investimento, e i network di business angel sono (ancora) i soliti noti. Ciò rappresenta indubbiamente un grandissimo freno allo sviluppo: anche se è un problema che in parte si sta superando, seppur lentamente, il tipico investitore italiano (ahimè spesso anche istituzionale) guarda al fatturato, e non alle idee.
Dove puntano in Israele?
E allora dove stanno puntando in Israele? I big data sono uno dei settori strategici su cui le società innovative stanno concentrando le attività attuali e future, così come l’Internet of Things, l’Internet delle cose, pensato per migliorare le nostre vite connettendo tra loro gli oggetti e permettendoci di guidarli e controllarli attraverso smartphone, tablet e oggi anche orologi tecnologici. Così come è prioritaria la cybersecurity; mai sentito parlare di Be’er Sheva (e del progetto CyberSpark), la futura cyber capitale d’Israele?
Ecco perché Israele è un paese da copiare: per poter creare un circolo virtuoso e creare un ecosistema che crei innovazione è necessario creare basi che nel nostro Paese sono ancora troppo frammentate. Nel 2016 ha ancora senso difendere il proprio orticello (politico, accademico o di incubatore associativo che sia) quando il mercato non è più dietro l’angolo, ma è il mondo?