XTB, fintech internazionale e tra i principali broker forex e CFD (Contratti per Differenza) quotati in borsa, prevede un rallentamento dell’inflazione che potrebbe arrivare al 2%.
Dopo il crollo finanziario dovuto alla pandemia nel 2020 e la ripartenza nel 2021, il 2022 è stato un anno senza dubbio complicato. I timori per l’inflazione hanno spinto al ribasso i prezzi delle azioni e la guerra in Ucraina ha scatenato la volatilità sui mercati energetici. Guardando al 2023, gli investitori nutrono un misto di speranze di un cambio di direzione della Fed e di timori legati alla recessione.
L’inflazione è stata a lungo il tema principale del mercato… Oltre che la causa principale delle difficoltà della maggior parte delle asset class nel 2022: attualmente, sta già scendendo negli Stati Uniti ed è probabile che questo processo continui. I prezzi delle materie prime hanno iniziato a diminuire rispetto ai livelli molto elevati dell’inizio dell’anno scorso; allo stesso tempo, i vincoli della logistica globale sembrano attenuarsi grazie agli aggiustamenti effettuati dalle aziende, come dimostrato dal calo dei prezzi dei trasporti.
«Se non ci sarà un altro shock dell’offerta, l’inflazione dovrebbe frenare nel corso nel 2023. Il grande interrogativo che gli investitori si pongono è quanto velocemente scenderà e se arriverà a un livello del 2% entro la fine dell’anno – ha commentato Walid Koudmani, Chief Market Analyst XTB –. Al tempo stesso, la combinazione di una domanda dei consumatori ancora forte, di un mercato del lavoro resistente e di un’inflazione degli immobili sensibile potrebbe mantenerla a livelli che non permetteranno alla Fed di dormire sonni tranquilli».
Cambio di offerta della Fed, sì o no?
Se la Fed aumenterà i tassi al 5%, si tratterà del ciclo di inasprimento dei tassi più significativo dal 1981. Nonostante un 2022 difficile, gli ultimi 14 anni sui mercati azionari sono stati straordinari per gli investitori, soprattutto sul mercato statunitense. Ciò è stato in parte dovuto al lungo ciclo di espansione tra il 2009 e il 2020, ma è stato anche notevolmente favorito da una svolta “dovish” nelle politiche delle banche centrali.
Mai nella storia i tassi di interesse sono stati così bassi, di fatto allo 0% negli Stati Uniti e addirittura negativi in Europa e Giappone. Non solo, le banche centrali hanno anche sostenuto i mercati con acquisti di asset. Di conseguenza, gli indici azionari hanno guadagnato più di quanto suggerito dalle sole variazioni degli utili o del PIL, con conseguente innalzamento delle metriche di valutazione come il rapporto prezzo/utili o prezzo/vendite.
Gli investitori sperano ora che una prospettiva di inflazione più favorevole possa convincere le banche centrali a rivedere le loro recenti decisioni e a invertire la rotta della politica monetaria nel 2023. Nel 2019 la Fed ha tagliato i tassi di 75 punti base ed è passata dalla riduzione del bilancio all’espansione. Una ripetizione di tale mossa sarebbe molto apprezzata dagli asset di rischio come le azioni o le criptovalute e potrebbe essere molto negativa per il dollaro USA.
Tuttavia, finora i rappresentanti delle banche centrali hanno segnalato di preferire il mantenimento di una politica restrittiva più a lungo per garantire l’eliminazione dell’inflazione. La BCE ha alzato i tassi di deposito al di sopra del 3% solo due volte nella storia: nell’ottobre 2000 e nel luglio 2008, alla vigilia di importanti bear market.
I rappresentanti delle banche centrali hanno segnalato di preferire il mantenimento di una politica restrittiva
Se la guerra in Ucraina finisse…
Il conflitto in Ucraina ha generato un significativo aumento del rischio geopolitico, il cui ammontare è inversamente proporzionale alla distanza dal centro del conflitto. In questo caso, il “risk premium” geopolitico sembra essere piuttosto basso, stimato al 2-3% del rapporto prezzo-utili e, allo stesso tempo, ci sono alcune società che potrebbero beneficiare in particolar modo dalla fine della guerra.
Ad esempio, le aziende automobilistiche tedesche Volkswagen e Mercedes, la cui produzione è stata interrotta da una carenza di semiconduttori e cablaggi prodotti in Ucraina. Fra le aziende ucraine, potrebbe trarne giovamento Kernel, il più grande produttore ed esportatore di olio di girasole nel paese ucraino, tenendo in considerazione che l’agroalimentare è fra i settori che hanno sofferto maggiormente del conflitto (l’Ucraina e la Russia sono responsabili di oltre il 20% delle esportazioni globali di mais).
Blockchain e cripto
A causa di un cambiamento radicale della politica monetaria globale e l’aumento dell’inflazione, gli asset rischiosi sono stati messi sotto pressione nel 2022. Le criptovalute, uno dei maggiori beneficiari della politica fiscale e dei bassi tassi di interesse durante la pandemia, hanno subito un duro colpo e il settore ha dovuto affrontare problemi interni causati da un’ondata di fallimenti e crolli di importanti progetti cripto.
Al di là dei massicci cali e degli scandali, l’interesse per le criptovalute persiste. Ad oggi, ogni mercato ribassista cripto ha creato importanti opportunità di investimento e ha preannunciato un periodo di maggiore volatilità. Nonostante il calo dei prezzi e l’incertezza, l’adozione della tecnologia blockchain ha subito un’accelerazione. Con il calo dell’inflazione e un lento allentamento della politica monetaria, le criptovalute potrebbero tornare a godere del favore degli investitori nel 2023.
Per quanto riguarda il Bitcoin, storicamente il suo prezzo ha iniziato a salire circa 1 anno e 3 mesi prima del proprio ciclo di dimezzamento. Il prossimo dimezzamento è previsto per aprile 2024, il che fa sperare i “tori” per il 2023. I “vincitori” del cambiamento del sentiment del mercato, al di là del Bitcoin stesso, potrebbero essere:
- i progetti legati agli smart contracts (Ethereum, Chainlink)
- i token NFT (Polygon, Algorand)
- l’archiviazione decentralizzata dei dati (Filecoin)
- il trend del Metaverso (Decentraland, Sandbox).
Un cambio di sentiment potrebbe giovare a smart contracts, token NFT, archiviazione decentralizzata dei dati e Metaverso
Recessione degli utili, una probabilità concreta
Il rallentamento dell’economia e i timori di recessione sono stati fattori importanti per i mercati nel 2022 e continueranno ad esserlo anche nel 2023. La crescita degli utili negli Stati Uniti sta rallentando, ma non è ancora in territorio negativo. Poiché l’inflazione negli USA ha continuato ad accelerare al di sopra dell’obiettivo della Fed, la banca centrale statunitense ha intrapreso una stretta aggressiva nel tentativo di contenere la crescita dei prezzi. Gli indicatori anticipatori che si sono dimostrati affidabili, come ad esempio l’ISM manifatturiero, suggeriscono che la debolezza degli utili potrebbe continuare anche nel 2023.
Finora, nel XXI secolo, si sono verificate tre recessioni degli utili: lo scoppio della bolla delle dot-com, la crisi finanziaria globale e la pandemia COVID-19. Mentre il crollo dei mercati azionari indotto da Covid è stato di breve durata grazie a enormi quantità di stimoli fiscali e monetari, le altre due hanno avuto alcune analogie. In particolare, l’entità del calo è simile a quella della crescita degli utili che diventa negativa.
Dal mese in cui la crescita degli utili è diventata negativa al mese in cui il mercato azionario ha toccato il fondo, l’S&P 500 è sceso del 33,4% e del 29,4% rispettivamente durante i bear market delle dot-com e del GFC. Sebbene ciò non significhi che il mercato azionario subirà un calo simile nel caso in cui la crescita degli utili dovesse diventare negativa questa volta, fornisce un indizio del fatto che, a meno di eventi catastrofici come Covid, la recessione degli utili tende a iniziare nel bel mezzo di un bear market, piuttosto che all’inizio o alla fine. Ognuna delle 10 precedenti recessioni economiche negli USA ha accompagnato una recessione degli utili.
I prezzi di petrolio e gas continueranno a scendere, forse
Le materie prime energetiche hanno fatto un bel giro sulle montagne russe nel 2022 e anche il 2023 potrebbe essere impegnativo. Nel mercato del petrolio, stiamo assistendo a due forze contrapposte: da un lato, l’OPEC+ sta lottando per riportare la produzione ai livelli pre-pandemici, anche con la riduzione degli obiettivi di produzione. Inoltre, l’introduzione di un tetto massimo di prezzo per il petrolio russo potrebbe causare ulteriori problemi di approvvigionamento.
D’altra parte, la politica di zero covid della Cina e il rallentamento generale fanno sì che la domanda non cresca più così velocemente come previsto. A causa di questi fattori, si prevede che i prezzi si stabilizzeranno nel breve termine, ma il prevalere di uno dei fattori nell’ultima parte del 2023 potrebbe determinare una tendenza moderata per il resto dell’anno.
Per quanto riguarda il gas, i suoi prezzi si sono stabilizzati dopo un 2022 turbolento. Gli investitori si chiedono ora se le scorte saranno sufficienti per la prossima stagione. Naturalmente, il problema della carenza di gas non riguarda gli USA, che hanno anche impegni con partner strategici in Europa e Asia. Ed è probabile che questo aumenti le esportazioni e limiti ulteriormente l’offerta sul mercato interno.
Le scorte statunitensi rispetto all’anno precedente indicano che il massimo del prezzo potrebbe essere già stato raggiunto. Tuttavia, è importante sapere che la Russia non trasferirà gas all’Europa l’anno prossimo. Quindi gli Stati Uniti dovranno colmare questo divario. Se le scorte comparative cambieranno di nuovo direzione, scendendo al di sotto del livello dell’anno scorso, allora il prezzo potrebbe muoversi verso i massimi del 2022 o addirittura verso il picco del 2008.
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