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Smart Working? Home Working? No, South Working…

“South Working - Lavorare dal Sud è un progetto palermitano volto a diffondere la possibilità di lavoro agile da dove si desidera, in particolare dalle regioni del Sud”.

“South Working – Lavorare dal Sud è un progetto palermitano volto a diffondere la possibilità di lavoro agile da dove si desidera, in particolare dalle regioni del Sud”.

Recita così la pagina Facebook che ha coniato il nome di una tendenza che in tanti hanno sempre sottovalutato e che adesso mostra il suo peso sotto forma di un salato conto economico. Tutto nasce per colpa del coronavirus che ha costretto le aziende a chiudere le sedi istituzionali e a trovare soluzioni di lavoro agile per i propri dipendenti. E così nel terribile marzo 2020, in Italia si diffonde lo smart working. Chi fa il libero professionista o lavora come fiero detentore di una delle delle 5,3 milioni di partite Iva italiane ha passato il lockdown a chiedersi cosa cavolo poteva esserci di così rivoluzionario nel lavorare da casa. Ma nel nostro Paese è stata una rivoluzione pure quella. Ma a prescindere dagli scombussolamenti che ha portato nelle case di milioni di lavoratori costretti a fare riunioni su Zoom tra un cane che abbaiava e i figli urlanti chiusi nell’armadio, lo smart working ha rappresentato una presa di coscienza epocale per ribaltare completamente alcuni equilibri consolidati. La signora che affitta il monolocale a 650 euro più spese in Viale Monza racconta disperata che lo studente pugliese ha già comunicato che a settembre non tornerà più a Milano. Tanti studenti non torneranno più a Milano, ma neanche a Torino, a Firenze, a Siena… Perché pagare un affitto e vivere in una città “straniera” se i corsi devi seguirli online? Se il business degli affitti sta risentendo in maniera pesante di quanto si sta delineando nel Paese, tante aziende stanno facendo i conti dell’oste rendendosi conto che in fondo lo smart working permette di dismettere un’ala della costosa sede operativa e risparmiare anche qualche soldo.

Fuga dalle città

E così le sedi si svuotano, i centri delle città si svuotano, i cortili delle università, i ristoranti, le palestre, anche le pizzerie e le paninoteche, le persone sui mezzi pubblici si riducono e, improvvisamente, ci si rende conto che un discreto flusso di denaro che arrivava dal Sud Italia verso il Nord, si è improvvisamente fermato. Ma anche un flusso che dalle periferie arrivava alle città adesso resta a casa propria. Pensiamo alle centinaia di migliaia di pendolari che non pendolano più e adesso fanno la spesa dal salumiere sotto casa e non più nella piadineria, o dal sushi bar del centro. Quello che poteva essere un fenomeno temporaneo legato solo alla fine del lockdown sta prendendo una piega completamente diversa e bisogna farci i conti. Il risultato è la desertificazione di quelle città che sui fuorisede hanno costruito un’economia.

In 20 anni, Milano ha guadagnato oltre 100mila residenti provenienti soprattutto dal Sud Italia. Molti di essi ha scelto di non fare ritorno.

Secondo una stima del Sole 24 Ore, in 20 anni Milano ha guadagnato oltre 100mila residenti provenienti soprattutto dal Sud Italia. Di questi, una parte consistente ha scelto di non fare ritorno. Milano è la città italiana più colpita dal South Working, ma non l’unica. Secondo The Economist ormai si dovrà parlare di epoche diverse. BC (Before Coronavirus) AD (After Domestication).

Un’opportunità per uscire

E così a Palermo, è nata South Working, un progetto “per studiare il fenomeno dello smart working localizzato in una sede diversa da quella del datore di lavoro, in particolare dal Sud Italia, con i suoi pro e contro; aiutare lavoratori che vogliano intraprendere questa modalità di lavoro; formulare delle proposte di policy in questo campo”.
A me, tutto questo sinceramente non dispiace affatto. Quando avevo 15 anni e vivevo in Basilicata, sapevo che dopo il militare bisognava partire, emigrare al Nord. Vedevo tutti gli amici più grandi farlo, sparire, dileguarsi in territori lontani semplicemente perché non c’era alternativa. Oggi le cose sono cambiate. E direi in meglio. Oggi tante cose puoi farle con una connessione a Internet, negli anni 80/90 te lo sognavi. Ti facevi le valige e partivi a cercare fortuna. Il fatto che adesso ci sia la possibilità di arginare questa tremenda emorragia che drena dal Sud risorse umani vitali, mi piace, perché offre una scelta.

Ma andiamoci piano. Spostarsi, viaggiare, conquistare spazi fa parte dell’evoluzione di una persona tanto quanto il diritto di lavorare a casa propria.

Con il senno di poi, io sono convinto che si dovrebbe stimolare qualunque giovane a spostarsi, allontanarsi, provare a mantenersi da solo, studiare e studiarsi e poi, semmai, fare ritorno portandosi dietro esperienze che nessuna videocall potrà mai garantirti. Mi auguro che la possibilità di potersi gestire il tempo con più autonomia spinga le persone a osare e sperimentare di più. Non dico trasformarci tutti in nomadi digitali, ma sfruttare e provare nuove opportunità per riempire la nostra vita, quello sì. Se la febbre da smart working (che sia North o South Working) diventerà un ulteriore motivo per chiudersi in casa e trasformarci in animali da tana, beh, forse qualcosa non torna.

E quindi? Quindi va benissimo rimettere in discussione gli equilibri, ripensare a nuove modalità di interazione, arginare flussi consolidati e modificarli, ma non dimentichiamoci che la vita per i falchi comincia quando lasciano il nido.

Business Development Manager at Dynamo, Author Manuale di Equity Crowdfunding, Angel Investor in CrossFund, Journalist, Crowdfunding Marketing Strategist, Startup-News.it founder, IED Lecturer.

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