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Coworking a Londra, la prima settimana

Trasferirisi a Londra da libero professionista e andare a lavorare in un coworking.

Sono undici giorni che ascolto radio e TV britanniche, lo faccio per migliorare il mio inglese e provare a guardare il mondo da una prospettiva diversa. In questo periodo ho sentito nominare l’Italia tre volte.

  1. Si parlava di tre turisti americani che hanno pagato a Roma 42 euro per tre gelati e per questo hanno richiesto l’intervento dei carabinieri. La notizia sembrava così interessante che ha fatto il giro del mondo. Il succo era: state attenti in Italia perché vi fregano sui prezzi. Ecco come ci giochiamo il turismo.
  2. L’Italia è in recessione. Il Belpaese non sta facendo nulla per favorire le imprese e creare nuovi posti di lavoro. Da fuori non si riesce a capire perché ogni piccola cosa, in Italia risulta tanto difficile da realizzare. In realtà, non riusciamo a capirlo neanche da dentro. Ecco come attiriamo investimenti dall’estero.
  3. Boom di immigrati italiani a Londra. Il capoluogo inglese è la meta favorita di giovani imprenditori che decidono di aprire una sede qui, ma non solo. Continuano ad approdare manager, ingegneri, programmatori, camerieri, cuochi, insomma di tutto. Non sono solo i cervelli, quelli che se ne vanno. Lasciano l’Italia anche gambe e braccia di cui il nostro Paese sembra non avere bisogno. Ecco come investiamo sul futuro.

Non mi piace l’immagine che diamo all’estero e non mi piace neanche criticare il MIO Paese. Parlo a titolo personale, non ho statistiche e non sono un esperto di politica, ma ieri Enrico, un ragazzo italiano che vive a Londra da 11 anni mi ha spiegato: “In italia se riesci a trovare un sistema per non pagare le tasse e lo racconti a qualcuno, probabilmente questa persona ti chiederà di sapere come fai. In Inghilterra, la stessa persona, dopo averti salutato cordialmente, probabilmente alza il telefono e ti denuncia, perché tu stai rubando i suoi soldi. Quando la gente paga le tasse, si può fare tutto”.
Ma quindi nasce proprio tutto da lì? Con Enrico, cercherò di fare una lunga chiacchierata nei prossimi giorni, stay tuned!

Ok, questo non c’entra molto con l’esperienza del coworking, ma fa parte delle cose che sentivo la necessità di raccontare. Perché voglio capire quali sono i motivi che spingono un italiano a varcare la Manica e a restarci.

 

Prima settimana di coworking

Appena registrato, una delle ragazze che compongono il team dell’hub da cui lavoro, mi ha detto che c’era una persona che dovevo assolutamente conoscere. Ho detto di sì ed è partita immediatamente una mail per fissare l’incontro. Due giorni dopo, ho incontrato un signore sulla cinquantina che va in giro ad annusare le startup per capire se il loro business può essere un affare anche per lui. In due ore di faccia a faccia, abbiamo chiacchierato, scherzato e mi ha offerto consigli su come ottimizzare il mio business model. Mi ha detto, gentilmente, che il mercato italiano non gli interessa, ma possiamo risentirci se decido di fare qualcosa a Londra. Ci siamo salutati con una stretta di mano e mi ha promesso un report dell’incontro. Dopo due giorni il report è arrivato. Non ho pagato nulla, ma un professionista si è preso la briga di venire a conoscermi per capire cosa stessi facendo.

“Per un cacciatore di affari, è normale giocarsi delle ore per cercare il business su cui investire”. Mi ha spiegato Phil, un ragazzo a cui il giorno prima avevo chiesto indicazioni nella vana speranza di trovare un caffè decente. “Sanno benissimo che molti incontri andranno a vuoto, ma solo così riescono a scovare quello giusto”.

 

Il tempo lo paghi e quindi lo sfrutti

Lavorare in un ambiente condiviso mi piace. I primi giorni li ho passati alla ricerca della postazione giusta: qui c’è troppo riflesso della finestra sul computer, da qui passa troppa gente, qui c’è il condizionatore a manetta. Poi trovi il tuo spazio e se arrivi presto riesci ad appoggiarci lo zaino prima degli altri. Per 100 ore di utilizzo da sfruttare in un mese, ho pagato circa 200 sterline. Ho un collegamento a Internet ad alta velocità, una stampante a colori, la possibilità di prenotare una sala riunioni e posso prendere tutti i caffè che voglio al bar della struttura (questo punto per me era fondamentale).
A Londra è impossibile trovare un ufficio che costi meno, ma a Milano la situazione non è diversa e se devi incontrare clienti o magari solo perché non vuoi lavorare da casa, una situazione di coworking è consigliabile.

Mi sono accorto che siccome paghi le ore di permanenza, tendi anche ad essere più produttivo. Mentre mi aggiro fra le scrivanie colgo frammenti di conversazioni: ci sono cacciatori di teste che vengono qui a fare colloqui di lavoro, squadre di ragazzi stravaccati sui divanetti che progettano l’idea del secolo, in un piccolo angolo isolato una ragazza sta parlando davanti a una telecamera per aggiornare il suo videoblog, ma in tutto lo spazio condiviso, non c’è nessuno che perde tempo. E questa cosa mi piace molto, ecco forse anche io dovrei rimettermi a lavorare…

Business Development Manager at Dynamo, Author Manuale di Equity Crowdfunding, Angel Investor in CrossFund, Journalist, Crowdfunding Marketing Strategist, Startup-News.it founder, IED Lecturer.

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