Startup, fatevi criticare
Qualche anno fa ricevo un comunicato stampa. Presenta una startup che ha creato una nuova piattaforma social. È qualcosa di unico e diverso da qualunque cosa esista in quel momento. Non voglio aggiungere altro perché non è importante sapere di chi parlo, ma piuttosto l’atteggiamento tenuto. In ogni caso, il compito di raccontare meglio l’idea …
Qualche anno fa ricevo un comunicato stampa. Presenta una startup che ha creato una nuova piattaforma social. È qualcosa di unico e diverso da qualunque cosa esista in quel momento. Non voglio aggiungere altro perché non è importante sapere di chi parlo, ma piuttosto l’atteggiamento tenuto. In ogni caso, il compito di raccontare meglio l’idea è affidato ai founder che terranno una conferenza stampa con alcuni giornalisti selezionati, fra cui io…
Incuriosito, decido di partecipare e l’agenzia mi accoglie in una elegante location a Milano. Ci sediamo intorno a un tavolo, siamo una decina di giornalisti. Ci sono testate nazionali molto importanti, perlopiù generaliste e poi ci sono io di startup-news. Ascoltiamo i fonder che parlano e un personaggio molto conosciuto nel mondo della musica che fa da testimonial al progetto. Tutto bello. Presentazione perfetta. Si apre la parte di Q&A con la stampa, vengono distribuiti pasticcini e i miei colleghi passano un quarto d’ora a fare complimenti all’idea geniale e alla startup che diventerà sicuramente “il nuovo Facebook del settore”.
Anche io alzo la mano, ma non amo i complimenti. Chiedo qualche informazione sul modello di business. Ho bisogno di capire su cosa si basano i numeri che sono stati esposti. Chiedo se hanno testato la piattaforma e quanti utenti la usano, che obiettivi hanno per i prossimi anni e mi viene risposto (come da manuale) che conquisteranno prima di tutto il mercato italiano e poi punteranno all’Europa e agli States. Chiedo chi è l’utilizzatore tipo di questo servizio e la risposta è: “tutti coloro che hanno uno smartphone”. In Italia all’epoca erano circa 40 milioni gli smartphone, quindi questa startup dava per scontato che c’erano 40 milioni di potenziali utenti. Ma nessuna idea sul costo e sulle modalità di acquisizione di quel pubblico.
Mi veniva da fare 1000 obiezioni. Quando pensi che il tuo cliente è “tutti”, stai imboccando la strada migliore per prendere una clamorosa cantonata. Vista la piega non esattamente elogiativa della conversazione, l’agenzia decide che la sezione Q&A può essere chiusa. Ci salutiamo con la consegna della cartella stampa e ognuno se ne torna da dove era venuto. Noto alcune persone che si accalcano intorno ai founder per organizzare un bellissimo articolo o proporre qualche pacchetto commerciale. Io esco con un po’ di amaro in bocca, ma girato l’angolo inizio a pensare ad altro.
Qualche giorno più tardi, una PR dell’agenzia che aveva organizzato la conferenza mi chiede se avessi intenzione di scrivere qualcosa a riguardo e le rispondo schiettamente, di no. Le dico che non credo nel progetto e che se ne scrivessi, dovrei criticare fortemente quello che ho sentito. Siccome so cosa vuol dire fare startup, non mi va mai di mettere pubblicamente in difficoltà qualcuno che sta mettendo l’anima in qualcosa. Ma mi offro di scambiare volentieri 4 chiacchiere con i founder per capire meglio alcune cose e magari cambiare idea.
La PR, mi richiama il giorno dopo dicendo che i founder non rilasciano interviste. Gli stessi che avevano convocato una conferenza stampa…
Non ho mai scritto nulla di quella startup e negli ultimi anni non li ho neanche più sentiti nominare. Succede. Tante startup non ce la fanno, funziona così. Ma quello che davvero non digerisco è la convinzione di sentirsi su un piedistallo, di circondarsi solo di persone che ti danno ragione e alzare barriere nei confronti di chiunque possa farti una domanda scomoda.
Beh, io sono convinto che le domande scomode servono, che le critiche aiutano sempre se fatte e ricevute con intelligenza. E uno che fa startup, dovrebbe essere sempre pronto a cambiare idea, prospettiva e… consulenti…