Tra i provvedimenti di breve termine del neonato governo Meloni potrebbe esserci l’introduzione della c.d. quota flessibile: un progetto che potrebbe permettere – con qualche riduzione di assegno – di andare in pensione un po’ prima rispetto a quanto prevede l’attuale quadro normativo.
In attesa di avere a disposizione una bozza del provvedimento, ecco come potrebbe funzionare.
Cos’è la quota flessibile?
Per il momento, tutto ciò che sappiamo è che la quota flessibile è una sommatoria tra il requisito anagrafico e quello contributivo che permetterà ai lavoratori di andare in pensione una volta raggiunto un limite minimo.
In tal senso, la quota flessibile tenderà a superare sia la quota 100 voluta da Matteo Salvini nel 2019 e sostanzialmente superata nel 2021, sia la quota 102 che varrà fino al 31 dicembre.
Ciò premesso, rimane però da capire quali saranno le reali potenzialità della quota flessibile e quali saranno le limitazioni. È infatti difficile che possa esser previsto un requisito minimo anagrafico inferiore ai 60 anni, così come un requisito minimo contributivo inferiore ai 35 anni.
La quota flessibile sarà utile al mercato del lavoro?
La grande domanda che ci si può porre è se la quota flessibile possa o meno essere utile al mercato del lavoro. La risposta è, purtroppo, piuttosto incerta.
Già le iniziative di quota 100 e quota 102 avrebbero dovute essere utili per favorire l’inserimento dei giovani nel mondo del lavoro e, dunque, contribuire al ricambio generazionale. In realtà, i risultati sotto questo profilo sono stati inferiori alle attese, considerato che il pensionamento anticipato non è servito a creare i nuovi posti di lavoro auspicati.
Ragionando in termini numerici, uno studio condotto dal Consiglio Nazionale dei Consulenti del Lavoro ha rilevato come la legge Fornero ha contribuito a rallentare il ricambio generazionale, stimolando la crescita statistica della quota di lavoratori over 60 fino a sfiorare 1,5 milioni di unità, oltre il 6% del totale.
Conferire a chi è over 60 di poter uscire anticipatamente dal mercato del lavoro potrebbe pertanto aprire le porte al ricambio generazionale, soprattutto se la platea di beneficiari sarà più ampia rispetto a quella introdotta da quota 100.
Il nodo delle penalizzazioni
Ciò premesso, tutto lascia intendere che molto dipenderà dalle penalizzazioni che verranno applicate nei confronti di coloro che lasceranno anzitempo il luogo di lavoro.
L’equilibrio che il governo dovrà trovare non è facilmente conseguibile:
- da una parte vi è l’evidente necessità di ridurre le penalizzazioni per evitare che l’apertura delle porte al pensionamento degli over 60 risulti poco conveniente, vanificando di conseguenza questa misura
- dall’altra parte bisognerà evitare che l’intervento pesi in modo eccessivo sui conti pubblici.
Ecco dunque che le alternative che si stanno prefigurando sono principalmente due.
La prima è quella di procedere al ricalcolo parziale della pensione con il metodo contributivo, piuttosto che con quello retributivo o misto. L’idea non è stata giudicata di gradimento da parte sindacale, che immaginano che l’assegno pensionistico potrebbe in questo caso essere ben inferiore rispetto a coloro che andranno in pensione con metodi alternativi.
La seconda strada è quella di ridurre l’assegno di una percentuale predeterminata per ogni anno di anticipo. Per il momento, delle due alternative è questa quella che sta trovando un supporto più convinto.
Ultime notizie: quota flessibile pensioni governo Meloni
Chiarito quanto sopra, cerchiamo di azzardare una possibile ipotesi sulla quota flessibile delle pensioni.
L’unico punto certo sono le norme in vigore, che scadono il 31 dicembre 2022: Quota 102, Opzione Donna, Ape Sociale. La Quota 102 è l’iniziativa del governo Draghi utile per superare i tre anni della Quota 100 voluta da Matteo Salvini ai tempi del primo governo Conte. L’iniziativa fissa i requisiti del pensionamento anticipato a 64 anni di età e 38 anni di contributi.
L’Opzione Donna consente invece di andare in pensione a 58 anni (59 per le lavoratrici autonome) e 35 anni di contributi raggiunti nel 2021. L’Ape Sociale è invece un’indennità che si inserisce nel periodo di attesa della maturazione del requisito di vecchiaia, permettendo così di uscire dal lavoro a 63 anni.
Valutato ciò, e avendo sempre bene in mente che l’obiettivo dovrebbe essere quello di evitare di dissanguare eccessivamente i precari conti pubblici, l’intervento più prevedibile sembra essere la correzione della Quota 102 con l’introduzione della già rammentata quota flessibile. L’idea sulla scrivania del Ministro del Lavoro Marina Calderone è quella di un ampliamento del range anagrafico, permettendo così agli over 60 di andare in pensione, purché abbiano almeno 35 anni di contributi. Potenzialmente, pertanto, un 61enne potrebbe mettersi a riposo se ha iniziato a versare contributi all’età di 26 anni.
Il passo in avanti sarebbe notevole, considerato che fino ad oggi si andava in pensione solamente raggiunti i 64 anni di età, oltre a 38 anni di contributi. Con la nuova versione si creerebbe maggiore libertà, pur nel rispetto di un requisito anagrafico di almeno 60 o 61 anni,