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Leadership al femminile: la situazione in Italia

Aumenta la percezione che una leadership al femminile consenta alle aziende di ottenere migliori risultati, ma allo stesso tempo cresce tra le donne la consapevolezza dei divari di genere

Rispetto al 2022 aumenta il numero di donne lavoratrici che ritengono che nelle proprie aziende ci sia un gap salariale tra uomini e donne (55%, +7% rispetto all’anno precedente) o che ci sia uno scarto tra uomini e donne in termini di opportunità di carriera (61%, +9% rispetto al 2022). Secondo le donne lavoratrici, le maggiori barriere per la crescita della leadership al femminile rimangono legate alla difficoltà di conciliare lavoro e famiglia (per l’86% delle intervistate) e al poco spazio che gli uomini lasciano alle donne (74%). È quanto emerge dalla survey EY – SWG “La leadership al femminile nel mondo del lavoro, realizzata su un campione di oltre 700 lavoratrici e manager sul ruolo delle donne all’interno delle aziende italiane.

Aumenta la percezione che una leadership femminile consenta alle aziende di ottenere migliori risultati, ma allo stesso tempo cresce tra le donne la consapevolezza dei divari di genere

Dalla nostra analisi emerge che nell’ultimo anno è cresciuta del 19% tra i dirigenti, uomini e donne, la percezione che la leadership femminile consenta alle imprese di raggiungere meglio gli obiettivi aziendali. Mai prima d’ora vi è stata così tanta consapevolezza nel mondo aziendale della necessità e dei benefici di sostenere e promuovere le donne nel corso della loro carriera lavorativa. Tuttavia, la percentuale di donne che ricoprono ruoli dirigenziali rimane ancora estremamente contenuta: le donne nei Cda delle società italiane hanno raggiunto il 43% alla fine del 2022, ma sono ancora poche le presenze femminili ai vertici, nel 2% dei casi amministratrici delegate e nel 4% presidenti[1]” – commenta Stefania Radoccia, Tax & Law Managing Partner di EY in Italia.

Stefania Radoccia, Tax & Law Managing Partner di EY in Italia.
Stefania Radoccia, Tax & Law Managing Partner di EY in Italia.

Crescono la percezione che una azienda al femminile possa essere più efficace nel raggiungimento dei propri obiettivi e la consapevolezza da parte delle lavoratrici delle condizioni di discriminazione ancora presenti sul mondo del lavoro. Ciò si traduce in un peggioramento della percezione che le lavoratrici e le dirigenti hanno dei servizi di promozione dell’equità di genere presenti nella propria realtà lavorativa: la quota di donne che ritiene che nella propria azienda siano favoriti i congedi parentali per gli uomini e siano promosse la formazione e la crescita professionale delle donne è in calo rispettivamente di 9 e 8 punti percentuali.

Sul fronte maschile, invece, i dirigenti tendono a ritenere presenti servizi per la promozione dell’equità di genere in misura più che doppia rispetto alle dirigenti donne: il 58% degli uomini ritiene che in azienda sia presente una struttura che si occupa dell’inclusione delle donne, contro il 23% delle dirigenti.

Infine, aumenta la percentuale di donne che ritiene che non sarà mai raggiunto un equilibrio di genere nei ruoli direttivi (dal 16 al 23%), mentre si attesta al 68% la percentuale di dirigenti uomini (contro il 32% delle donne) che ritiene che l’equilibrio sarà raggiunto entro i prossimi 10 anni. In crescita anche la percentuale di dirigenti (sia uomini sia donne) che ritiene la promozione di più donne in posizione di leadership sia un impegno da assumersi, ma non una priorità (46% delle donne vs 36% del 2022; 60% degli uomini vs 49% dello scorso anno).

“Gli ultimi anni sono stati contrassegnati da importanti battute d’arresto sul fronte della parità di genere nel mondo del lavoro: dall’impatto della pandemia di COVID-19 alla crisi economica, passando per le tensioni geopolitiche. Viviamo un momento storico molto importante: il raggiungimento dell’uguaglianza di genere è tra gli obiettivi dell’Agenda 2030 ONU per lo Sviluppo Sostenibile nonché uno dei pilastri nei progetti del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Qualcosa si sta muovendo: dalla direttiva UE sulle quote di genere nei Cda delle quotate a quella sulla parità salariale, passando per la normativa italiana della certificazione di genere. Le aziende italiane devono farsi trovare pronte: la valorizzazione dei talenti femminili è una leva chiave per l’economia e la società più in generale, per stimolare l’innovazione e aumentare la resilienza. Ora più che mai è necessario agire in ecosistema e incoraggiare azioni concrete e coraggiose per sostenere e promuovere le donne nel mondo del lavoro” – prosegue Radoccia.

Laddove il dinamismo femminile non incontra il sostegno dell’impresa, infatti, il rischio è di perdere i talenti migliori. In un contesto di grande fluidità del mercato del lavoro, due donne su tre dichiarano di voler cambiare lavoro nei prossimi tre anni e quasi una su due (soprattutto tra le dirigenti) sarebbe interessata ad avviare un’attività autonoma libero professionale o imprenditoriale. È opinione comune, infatti, che le donne abbiano oggi una marcia in più e che le imprese femminili siano un valore aggiunto sebbene – per tre intervistate su quattro – in Italia le difficoltà per una donna imprenditrice sono maggiori rispetto a quelle sperimentate da un imprenditore.

Alla ricerca di una nuova libertà

Di particolare rilievo anche il dato che mostra come oggi le donne fatichino a sentirsi libere all’interno del contesto lavorativo, con il 59% delle intervistate che trova che il modello organizzativo della propria azienda sia più un elemento di vincolo che di libertà. Il lavoro diventa così il contesto in cui una donna si sente meno libera, con una responsabilità forte dei superiori, considerati un sostanziale ostacolo alla libertà e alla realizzazione individuale da circa una lavoratrice su quattro.

[1] Rapporto Consob sulla Corporate Governance.

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