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Equity crowdfunding, cosa è cambiato

Cosa è cambiato nel crowdfunding dopo l'ingresso del nuovo regolamento europeo? Probabilmente è cambiato tutto anche se in fondo... non è cambiato niente

L’Italia è stato il primo Paese europeo a regolamentare l’equity crowdfunding. Abbiamo avuto negli scorsi anni un fiorire di piattaforme e un susseguirsi di campagne di raccolta che hanno raccontato storie di innovazione (non proprio sempre) e fatto sognare centinaia di investitori e founder, dalla Sicilia al Friuli Venezia Giulia. Poi è arrivato il Nuovo Regolamento Europeo.

Ci siamo tutti lamentati per i ritardi che l’Italia ha avuto nell’individuazione dell’autorità competente, nel recepire la nuova normativa, nel rilascio delle nuove licenze e abbiamo immaginato l’inizio di una nuova straordinaria era di opportunità non appena le piattaforme avessero iniziato nuovamente a operare. E invece?

E invece quello che è successo è stato leggermente diverso rispetto a quanto i più avevano immaginato. Complici la crisi, le guerre e i tassi di interesse, ma non possiamo certo dire che sia stata una sorpresa.

Cosa è cambiato da un anno a questa parte

Prima del Nuovo Regolamento Europeo in Italia c’era una lunga sfilza di piattaforme di raccolta. Ricordo che ne avevo contate una settantina.

Oggi il mercato dell’equity crowdfunding è mosso sostanzialmente da tre player: Mamacrowd supportato anche dal fondo Alicrowd del gruppo Azimut che su alcune campagne della piattaforma decide di investire, Crowdfundme che intanto si è unita a Trusters, operatore di real estate e offre quindi una parte di equity tradizionale sulle startup e le pmi e una parte di lending sull’immobiliare. E poi abbiamo Opstart focalizzata su raccolte lending e mini-bond, che nel frattempo ha acquisito Backtowork seguendo un trend di fusione ed M&A che si muove in questo senso in tutta Europa, per poter resistere a un mercato sempre più competitivo. Mercato che oggi, non dimentichiamolo, permette di operare in Italia anche a portali internazionali. Fra le piattaforme italiane di equity vale la pena citare anche Wearestarting che, purtroppo, è stata inspiegabilmente autorizzata con molto ritardo.

Oggi il mercato italiano dell’equity crowdfunding è mosso sostanzialmente da tre player: Mamacrowd, Crowdfundme e Opstart

Una delle cose che sono cambiate è quindi certamente il numero delle piattaforme operative e il fatto che oggi non c’è più una distinzione netta fra lending ed equity considerando che il nuovo regolamento permette a un portale di poter fare sia la parte di equity sia la parte di debito. Oggi è più corretto parlare di crowdinvesting.

Qualche numero sulle campagne

Le campagne di equity crowdfunding lanciate nel 2024 sono state numericamente inferiori rispetto a quelle dello stesso periodo del 2023, eppure (in base ai dati di CrowdfundingBuzz), la raccolta media per singola campagna è cresciuta. Nel 2024 è di 593mila euro, mentre lo scorso anno era di 444mila euro.

Sempre secondo CrowdfundingBuzz, nel primo trimestre 2023, in Italia la raccolta di equity crowdfunding è stata di 18milioni di euro, mentre lo stesso periodo del 2024 la raccolta è stata di 21,8milioni di euro. Quindi meno campagne ma più denaro.

Le novità del nuovo regolamento

Una delle caratteristiche del nuovo regolamento è anche la possibilità per le società offerenti di andare a raccogliere su piattaforme estere o di trovare più facilmente investitori stranieri disposti a puntare sulle nostre aziende, ma in verità esempi di questo tipo non ne abbiamo visti molti e questo per un motivo che in Italia è stato sempre poco considerato e riguarda fondamentalmente l’essenza stessa del crowdfunding, ovvero la comunicazione e il marketing. Fare comunicazione per il mercato italiano costa, farlo sul mercato francese, tedesco o inglese, costa molto di più. Oltre al fatto che non tutte le aziende sono pronte per andare a raccogliere su mercati esteri.

La comunicazione nel crowdfunding

In questi anni ho avuto il piacere di seguire oltre 70 campagne di crowdfunding occupandomi principalmente delle strategie di comunicazione con lo scopo di riuscire a raccontare ai media e agli investitori in maniera etica e chiara il modello di business e il mercato di riferimento di ogni progetto.

Ho visto il mercato mutare notevolmente, in maniera costante e irreversibile. Oggi fare crowdfunding è più complesso che mai e questo non è necessariamente un male. Qualcuno parla di una necessaria selezione naturale.

Oggi fare crowdfunding è più complesso che mai e questo non è necessariamente un male. Qualcuno parla di una necessaria selezione naturale.

I “classici” 60 giorni di raccolta aperta al pubblico oggi tendono ad essere 30, ma questo non vuol dire che si ha meno tempo. Vuol dire solo che tutta la parte di precampagna, ovvero tutto il lavoro di semina e preparazione assume un valore imprescindibile per la buona riuscita di una raccolta, mentre il momento della vetrina aperta al pubblico è quello in cui si concretizza il lavoro svolto prima. Oggi più che mai è inconcepibile pensare di usare quei 60 giorni di raccolta per iniziare a darsi da fare. Oggi è fondamentale iniziare prima, per gestire la fase di pre-campagna come una grande operazione di marketing e acquisizione lead che si convertiranno in investitori appena la campagna vera e propria inizia. E purtroppo, non ci sono altre strade.

Un’operazione di marketing

Una campagna di crowdfunding è, prima di tutto, un’operazione di marketing che necessita di una solida strategia basata sul coinvolgimento delle persone e sulla creazione di una comunità intorno a un progetto. Per questo, è fondamentale comunicare le informazioni in modo efficace, persuasivo ed emozionante, così da innescare un potente effetto passaparola. Oggi si parla ci community funding proprio perché l’obiettivo è convincere prima di tutto la propria community e se ci pensiamo, quale sostenitore più grande può esserci di un cliente affezionato che decide di far parte del nostro progetto?

Esempi di campagne importanti come Out Of of Balladin, sono la dimostrazione di un grande lavoro fatto sul lungo termine prima di tutto sulla propria community e non certo nei 30 giorni di raccolta.

Niente di nuovo sotto il sole

Considerare un campagna di crowdfunding al pari di una campagna di marketing è qualcosa che nei paesi anglosassoni si fa da sempre. Cinque anni fa lavorai come consulente per una raccolta reward per il mercato americano su Indigogo ed ebbi modo di interfacciarmi a lungo con i referenti della piattaforma. Le linee guida erano molto chiare: prima di aprire la campagna pubblica è necessario lavorare a una massiva raccolta lead, attraverso i media, i social, una landing page e una strategia di marketing volta a creare una lista di persone che dichiara di voler aderire alla campagna entro i primi due giorni dalla messa online, il tutto ovviamente condito con una minuziosa strategia di ricompense. “Se nelle prime 24 ore non si raccoglie almeno il 30% dell’obiettivo, con molta probabilità la campagna è destinata a fallire” mi disse il referente americano di Indiegogo.

Se nelle prime 24 ore non raccogli almeno il 30% dell’obiettivo, con molta probabilità la tua campagna è destinata a fallire

Una campagna che parte col botto, attira altri investitori perché si innesca il famoso effetto palla di neve e la voglia di entrare a far parte di un progetto vincente. Viceversa, una campagna che parte lenta e poi si ferma, difficilmente riuscirà a risollevarsi.

Fondamentale quindi è raccogliere prima della campagna un numero di lead che in base a determinati tassi di conversione (variabili dal 0,5 al 5% a seconda del settore, del prodotto e così via) offrono la certezza quasi matematica di arrivare rapidamente all’obiettivo prefissato che si tratti di reward o equity poco importa. Senza quel lavoro iniziale di raccolta lead, la campagna semplicemente non partiva.

A chi serve questa strategia?

Pensandoci bene, una strategia di questo tipo serve sicuramente a tutelare il portale dal fallimento di una raccolta, ma cerca di proteggere anche l’offerente che non rischia di avventurarsi in una campagna da improvvisare all’ultimo momento. Ma quindi qual è la novità?

La novità è che oggi, una strategia di questo tipo è prassi anche in Italia e bisogna essere molto consapevoli di questo perché, in caso contrario, il rischio di non raggiungere l’obiettivo prefissato è molto alto e in giro abbiamo diversi casi di questo tipo. Oggi le campagne di equity crowdfunding durano mediamente 30 giorni e questo presuppone un minuzioso e articolato lavoro di preparazione che non può fare la piattaforma, ma spetta esclusivamente all’offerente.

“Ma tutto questo costa”, mi sento spesso dire. Certo che costa, ed è per questo che va presa in considerazione anche la possibilità di non riuscire a sostenere la spesa necessaria a mettere in piedi la macchina del crowdfunding.

Il tema di base è che il crowdfunding non può essere un mero mezzo di raccolta fondi, ma una strada alternativa di finanziamento, branding e crescita.

Facile? Per niente! Ma funziona così, prendere o lasciare.

Leggi i dati dell’ultimo report sul crowdinvesting del Politecnico di Milano

Business Development Manager at Dynamo, Author Manuale di Equity Crowdfunding, Angel Investor in CrossFund, Journalist, Crowdfunding Marketing Strategist, Startup-News.it founder, IED Lecturer.

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