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In Italia solo l’8% delle Fintech

Il Fintech italiano cresce, ma i passi in avanti sembrano non essere in grado di colmare il gap con le principali economie

Il settore Fintech italiano mostra segnali di crescita, ma evidenzia ancora un significativo divario rispetto alle economie europee più avanzate. Secondo un recente studio realizzato da ItaliaFintech, con il supporto scientifico dell’Osservatorio Fintech & Insurtech del Politecnico di Milano, il nostro Paese presenta un ecosistema in fase di sviluppo, ma ancora poco attrattivo per gli investimenti.

In particolare, l’analisi comparativa – che ha preso in esame quattro nazioni europee (Italia, Spagna, Francia e Regno Unito) – rivela dati piuttosto eloquenti: solo l’8% delle startup Fintech ha sede in Italia, percentuale identica alla Spagna, ma nettamente inferiore rispetto a Francia (17%) e Regno Unito (67%).

Il ritardo italiano emerge peraltro anche dal punto di vista degli investimenti, con il nostro Paese che attira appena il 6% dei finanziamenti complessivi del settore. Un altro indicatore significativo riguarda il numero di “unicorni” (startup valutate oltre un miliardo di dollari): l’Italia ne conta solamente due, contro i 29 del Regno Unito e i 13 della Francia.

Milano si conferma il principale polo nazionale per il Fintech, ma il mercato resta di dimensioni limitate, seppur con potenzialità di crescita considerevoli.

Per quale motivo in Italia ci sono così poche Fintech?

Il principale ostacolo allo sviluppo del settore in Italia è rappresentato dalla carenza di finanziamenti per l’avvio delle attività. Sebbene il funding medio si attesti a 12,5 milioni di euro, in linea con quello francese, il valore è fortemente influenzato da pochi grandi round di investimento. Escludendo questi mega-finanziamenti, la media effettiva scende a 4,7 milioni, ben al di sotto della media europea. È significativo che il 47% dei round di finanziamento in Italia sia inferiore a 1 milione di euro, mentre nei mercati più maturi come Regno Unito e Francia i capitali tendono a concentrarsi in round più consistenti.

Lo studio sottolinea poi come la semplificazione burocratica e il sostegno all’avvio di nuove imprese rappresentino priorità strategiche, in sintonia con le raccomandazioni del Rapporto Draghi sulla necessità di rafforzare la competitività nel settore digitale. Nonostante i recenti progressi, il processo di costituzione di una startup in Italia risulta ancora complesso e relativamente costoso, rendendo necessaria una completa digitalizzazione dell’iter burocratico.

Il rapporto avanza diverse proposte in ambito normativo, tra cui: un’implementazione completa e ordinata della regolamentazione sui cripto-asset (MiCAR), la semplificazione delle norme sul crowdfunding, la promozione dell’open finance attraverso una piena attuazione dell’open banking e una maggiore proporzionalità nella disciplina antiriciclaggio. Viene inoltre richiesta una normativa fiscale stabile e competitiva, evitando oscillazioni normative che potrebbero penalizzare l’innovazione.

Giornalista, copywriter, esperto di finanza e marketing editoriale, collabora con alcuni dei più noti network nazionali dell'informazione

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