Come cambia il mondo degli incubatori italiani: meno strutture ma più impatto
Un recente report ci svela come sta cambiando il mondo degli incubatori italiani: meno strutture ma un maggiore impatto sul sistema.

Il settore degli incubatori e acceleratori d’impresa in Italia mostra segnali contrastanti ma complessivamente positivi. A sostenerlo è l’ultimo report pubblicato dal team Social Innovation Monitor (SIM) in collaborazione con il Politecnico di Torino, i cui risultati esaminiamo brevemente nelle prossime righe.
I numeri degli incubatori italiani
Prima di tutto, rileviamo come il panorama italiano conta attualmente 239 tra incubatori e acceleratori, in calo rispetto ai 262 censiti nel 2023.
Nonostante questa contrazione numerica, altri indicatori mostrano un consolidamento del settore. La forza lavoro impiegata è infatti passata da 1.950 a circa 5.000 dipendenti, con un incremento superiore al 150%. Il fatturato complessivo ha superato i 600 milioni di euro, registrando un aumento del 20%. Parallelamente, il numero di startup supportate è raddoppiato, raggiungendo quasi 5.800 realtà.
Lo studio, condotto su un campione di 55 incubatori, suggerisce che la diminuzione del numero totale di strutture potrebbe essere interpretata come un segnale di maturazione dell’ecosistema, con un progressivo rafforzamento delle realtà più solide.
Distribuzione geografica e specializzazione
La concentrazione maggiore si conferma nel Nord-Ovest (33%), seguito da Centro (24%), Sud e Isole (22%) e Nord-Est (21%). A livello regionale, è la Lombardia la regione di maggiore rilevanza con 56 incubatori, seguita a distanza da Emilia-Romagna (27), Lazio (26), Campania (22) e Toscana (20).
Significativa la presenza di incubatori orientati all’impatto sociale e ambientale: il 54% delle strutture analizzate si classifica come “Social Incubator” o a categoria “Mixed”, supportando organizzazioni con finalità sociali e ambientali.
Servizi e finanziamenti
Tra i servizi più rilevanti offerti dagli incubatori emergono l’accompagnamento manageriale, la disponibilità di spazi fisici di lavoro, la formazione imprenditoriale, il supporto nella ricerca di finanziamenti e i servizi amministrativi, legali e di consulenza.
Sul fronte economico, nel 2024 il campione analizzato ha ricevuto finanziamenti per 330,6 milioni di euro. La distribuzione appare però disomogenea: benché la media sia di 7,7 milioni per organizzazione, oltre la metà degli incubatori ha ottenuto meno di 600.000 euro, mentre solo 20 strutture hanno superato la soglia del milione.
È altresì interessante notare come l’87% degli incubatori abbia diversificato le proprie attività, offrendo servizi non direttamente legati all’incubazione: consulenze per enti pubblici e privati, partecipazione a bandi, attività di scouting e open innovation.
Le difficoltà da affrontare
Se si confrontano gli incubatori italiani con quelli di altri Paesi europei, i dati normalizzati rispetto a popolazione e PIL appaiono coerenti – dichiara il Professor Paolo Landoni, Direttore del Report e Ordinario presso il Dipartimento di Ingegneria Gestionale e della Produzione del Politecnico di Torino. Tuttavia, guardando all’ecosistema startup nel suo complesso, il confronto con l’estero risulta meno favorevole, soprattutto per quanto riguarda la componente finanziaria, il contesto normativo e la presenza di partner industriali.
Una criticità significativa evidenziata dallo studio riguarda la scarsa attrattività internazionale dell’ecosistema italiano. Sebbene sia difficile competere con ecosistemi consolidati come quelli di Francia o Germania – rileva il docente – l’Italia potrebbe ritagliarsi uno spazio interessante nei confronti di ecosistemi emergenti del Nord Africa, Medio Oriente e Asia centrale.