Business Angel italiani, un ecosistema in crescita che punta al social impact
Secondo il nuovo report di Sim e Politecnico di Torino, il 56% dei Business Angel italiani mette la sostenibilità al primo posto. Il 7% in più dello scorso anno. L’ammontare dei fondi investiti è ancora basso ma le carte per crescere (bene) ci sono tutte.
I Business Angel Italiani sono 1505: SIM (Social Innovator Monitor) registra un incremento del 25% rispetto allo scorso anno (erano 1209). Di questi il 14% sono donne.
La fotografia realizzata dal team di ricerca Social Innovation Monitor (SIM) in collaborazione con il Politecnico di Torino è quella di un ecosistema piccolo che cresce e che potrebbe essere invogliato ad aumentare gli investimenti se ci fosse un maggiore interesse al comparto da parte del Governo.
«Abbiamo svolto la ricerca nei primi mesi del 2022 raccogliendo i dati direttamente dai business angel italiani. È stato fatto un lavoro complesso di identificazione dei Business Angel, il campione finale comprende 320 persone che hanno risposto all’indagine» ha sottolineato Paolo Landoni, Condirettore Scientifico della Ricerca. L’indagine è stata svolta con la collaborazione di Angels4Impact (A4I), Angels for Women (A4W), BusinessAngels.Network, Club degli Investitori, Doorway, Fondazione Giacomo Brodolini, Italian Angels for Growth (IAG), Instilla, Lifegate Way, Molten Rock e Social Innovation Teams (SIT).
Ecco i dati più salienti del report e i commenti più interessanti emersi durante la tavola rotonda che si è da poco conclusa in occasione della presentazione della ricerca.
I Business Angel operano prevalentemente in Lombardia e Piemonte
Della totalità dei Business Angel Italiani identificati, il 68% opera in Italia Settentrionale (la maggior parte in Lombardia e Piemonte ma sono ben rappresentate anche Lazio ed Emilia Romagna).
L’area meridionale e quella insulare rappresentano, purtroppo, le zone in cui attualmente vi è il minor numero di BA. Attenzione: il numero è correlato non tanto alla mancanza di interesse a investire in startup da parte di persone che provengono dalle regioni meridionali e peninsulari, o dalla mancanza di fondi, ma al fatto che al sud e nelle isole ci sono meno startup. La fotografia cioè racconta non le origini (nascita e provenienza) dei business angel ma le regioni in cui operano.
Una curiosità: a parità di numero di startup (normalizzando il dato) in Piemonte ci sono più BA che in Lombardia. In generale in Italia si contanto 4,9 Business Angel ogni 100 startup.
In generale in Italia si contanto 4,9 Business Angel ogni 100 startup
Come e quanto investono i Business Angel italiani
Sono cresciuti i Business Angel italiani che appartengono ai network e il numero di network: il 57% dei BA interrogati appartiene a un gruppo di investitori. Se guardiamo ai capitali investiti c’è ancora molta strada da fare… Nel 2020/2021 parliamo di una cifra che ammonta a 95 milioni di euro. Paragonando questo numero agli altri investimenti fatti da persone fisiche in imprese innovative (i dati sono del MEF) il contesto italiano vede 229,6 milioni investiti da persone fisiche in generale (imprenditori, familiari e amici) e 149 milioni investiti in crowdfunding.
Anche se la cifra non è ancora particolarmente importante, nel 2021 i capitali investiti dai BA italiani sono comunque aumentati. “Digital services & ICT” si conferma essere il settore preferito dai Business Angel che focalizzano i propri investimenti in specifici ambiti. È anche interessante notare l’aumento del numero di Business Angel che investe in organizzazioni a significativo impatto sociale: in particolare, ben il 56% del campione analizzato ha dichiarato di aver investito in organizzazioni di questo tipo.
Cosa fanno i Business Angel per le startup
«Abbiamo distinto tra Business Angel italiani attivi, che offrono servizi alle startup che vanno oltre l’erogazione di fondi e invece BA non attivi. Il 65% è active e offre servizi come supporto per lo sviluppo di modelli di business, business plan, network di contatti e anche un aiuto nella ricerca di altri finanziamenti e nella formazione manageriale e imprenditoriale» ha spiegato la Professoressa Elisa Ughetto, condirettrice della Ricerca.
I Business Angel sono poi stati suddivisi in tre categorie a seconda della loro attività. È emerso che la maggioranza dei BA presenti sul territorio italiano sono beginner (ovvero hanno investito in almeno 1 impresa il 61% dei BA), il 4% non ha mai investito, mentre il 35% sono invece investitori seriali con esperienza. Se guardiamo al numero di anni di attività, i beginner operano da 6 anni, gli investitori esperti da 8 anni mentre i neofiti (definiti virgin perché non hanno mai investito) da appena 3.
L’interesse per gli investimenti a impatto sociale
I ricercatori di SIM hanno anche distinto i Business Angel italiani appartenenti al campione dell’indagine in 3 categorie relative all’orientamento sugli investimenti: profit, hybrid e impact. I primi sono coloro che non danno priorità a investimenti in organizzazioni dal significativo impatto sociale e non hanno queste aziende nel proprio portafoglio. Rappresentano il 35% del campione.
I secondi sono il 54%: investono in imprese a impatto sociale dando loro una discreta priorità, ma nel loro portafoglio questo tipo di società innovative sono presenti in una percentuale inferiore al 50%.
L’11% dei Business Angel italiani, infine, ritiene molto rilevante investire in attività ad alto impatto sociale e hanno nel loro portafoglio oltre il 50% di imprese impact. I Business Angel che sono interessati agli investimenti di tipo impact sono poi stati classificati in impact first e financial first. Tra loro c’è un 16% di professionisti che accetta ritorni inferiori a quelli di mercato pur di avere un reale e significativo impatto sulla società.
In generale il 56% dei BA investe in imprese impact, un 7% in più dello scorso anno. Ma c’è un dato ancora più interessante: se ci fossero agevolazioni specifiche per chi investe in imprese con impatto sociale il 62% dei BA intervistati da SIM aumenterebbe l’ammontare di capitali investiti in questa direzione.
Un 16% di professionisti accetta ritorni inferiori a quelli di mercato pur di avere un reale e significativo impatto sulla società
L’angel investing al femminile, in Italia
Quali sono gli ostacoli affrontati dalle Business Angel italiane e le peculiarità che le caratterizzano le loro scelte rispetto alla controparte maschile? «Nel gruppo che ha partecipato al sondaggio le investitrici sono 41. Alla domanda se ci siano ostacoli all’angel investing al femminile in Italia il 78% delle intervistate ha risposto di no. Ma approfondendo le ragioni del sì del restante 22% abbiamo scoperto alcune cose interessanti – ha commentato Davide Viglialoro, Vice Direttore Scientifico del gruppo di ricerca –. Tra gli ostacoli che queste donne investitrici hanno citato ci sarebbero il minor riconoscimento della competenza come BA e un più difficile accesso alle risorse di partenza (in termini di capitale finanziario e network). Ci sono quindi dei pregiudizi anche nel mondo degli investitori, che potrebbero essere almeno in parte superati dalla creazione di gruppi di investor al femminile».
C’è anche da sottolineare che l’angel investing al femminile è un fenomeno molto giovane in Italia. Però mostra già alcune peculiarità interessanti. Generalmente le BA prestano maggiore attenzione agli investimenti con team che hanno al loro interno almeno una donna e stimolare questa precisa tipologia di investimento potrebbe essere un valore aggiunto per l’imprenditoria femminile.
Spesso le donne BA hanno ticket di investimento più bassi. Ma a fronte di un numero di exit pari a 2 contro le 3 degli uomini, le donne BA italiane ottengono exit in un tempo minore (4 anni) rispetto ai colleghi maschi (5 anni). Se è vero che la differenza non è abissale denota comunque bravura.
Come incentivare gli investimenti delle donne
«Per incentivare altre donne come me a investire in startup innovative servirebbero team dove c’è parita di genere. Personalmente mi piacerebbe vedere il convolgimento di un numero maggiore di donne nei livelli apicali, come founder, co-founder, CEO. Nella filiera di fundraising manca l’investimento nello sviullpo di imprese femminili – ha sottolineato Antonella Grassigli (CEO di Doorway e Co-founder di Angels4Women) –. Io stessa ho investito in ottimi team tutti al maschile ma vorrei fare altrettanto con team tutti al femminile o nei quali è evidente la parità di genere. Su queste startup al femminile potremmo fare story telling e coinvolgere altre donne perché diventino business angel».
«Il numero di business angel donne è certamente basso, sicuramente c’è qulcosa che non va – ha aggiunto Marco Nannini CEO di Impact Hub Milano (ma anche Chairman e Co-founder di Angels4Impact , Co-Founder e Vice President di Angels4Women) –. Sarebbe importante dare maggiore alle donne possibilità di accesso al mondo degli investimenti. Il punto di vista femminile nell’approccio all’analisi dei dati e all’analisi dei team, per esempio, così come l’attitudine al rischio, sono diversi. E questo è un arricchimento prezioso».
Maggiori incentivi potrebbero portare a maggiori investimenti
Secondo Francesco Cerruti Direttore di Italian Tech Alliance, che ha partecipato alla tavola rotonda in occasione della presentazione del report, maggiori incentivi agli investimenti da parte del Governo potrebbero dare un boost al comparto.
«Ci tengo a sottolineare che le startup non sono le imprese del futuro ma quelle del presente – ha commentato. Creano benessere, posti di lavoro e ricchezza e come tali andrebbero supportate. Sappiamo che il nostro ecosistema di BA muove ancora cifre piccole (nel 2021 per la prima abbiamo superato il miliardo e probabilmente supereremo i 2 miliardi quest’anno. Ma negli altri paesi le cifre sono molto più alte.
In questi anni difficilissimi circa 150 startup hanno assunto (dati relativi ai primi mesi del 2022), in alcuni casi raddoppiando la forza lavoro. I margini di crescita nel nostro paese sono ampi e qualcosa sta effettivamente cambiando, in meglio. Abbiamo la fortuna di essere partiti dopo e possiamo “copiare” virtuosamente dagli altri Paesi, facendo nostri degli strumenti che incentivino più BA a investire e a farlo con cifre maggiori. Sto pensando ad esempio all’Enterprise Investment Scheme (EIS) in UK, che riconosce a chi investe in imprese innovative uno sconto maggiore sulle tasse tanto più l’investimento viene mantenuto nel tempo».
Sicuramente è anche arrivato il momento di aggiornare la Legge sulle startup, o Startup Act, che ormai ha compiuto 10 anni ed è quindi obsoleta rispetto a un sistema che cambia a grande velocità.