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Assicurazioni green: in Italia solo lo 0,64% delle aziende è realmente protetto dai danni ambientali

L’Italia è ancora lontana da un’efficace gestione assicurativa del rischio ambientale. Secondo i dati diffusi da Pool Ambiente, solo lo 0,64% delle imprese italiane ha sottoscritto una copertura completa per i danni alle risorse naturali. Un numero sorprendentemente basso, soprattutto in un contesto economico e normativo sempre più attento alla sostenibilità e ai criteri ESG. …

L’Italia è ancora lontana da un’efficace gestione assicurativa del rischio ambientale. Secondo i dati diffusi da Pool Ambiente, solo lo 0,64% delle imprese italiane ha sottoscritto una copertura completa per i danni alle risorse naturali. Un numero sorprendentemente basso, soprattutto in un contesto economico e normativo sempre più attento alla sostenibilità e ai criteri ESG.

Questa fotografia emerge dalla seconda rilevazione statistica condotta da ANIA – Associazione Nazionale fra le Imprese Assicuratrici – sulla diffusione delle polizze di responsabilità ambientale tra le aziende italiane. A guidare la classifica dei settori più protetti c’è quello dei rifiuti, con una copertura del 21,16%, seguito da chimico (11,87%) e petrolifero (4,19%). In fondo alla lista figurano invece comparti fondamentali per l’economia nazionale come trasporti, industria cartaria e del legno, turismo e costruzioni civili, che mostrano percentuali ben al di sotto della media nazionale.

Veneto e Friuli Venezia Giulia le regioni più assicurate

A livello territoriale, il Veneto si distingue come la regione più virtuosa, con una percentuale di diffusione pari all’1,85%. Segue il Friuli Venezia Giulia con l’1,02%. Entrambe superano la soglia dell’1%, un risultato che – nel caso veneto – è frutto anche di una normativa regionale che impone obblighi specifici di copertura per le aziende attive nella gestione dei rifiuti.

La situazione cambia drasticamente nel Centro-Sud, dove si registrano i livelli più bassi di adesione. In particolare, la Campania detiene il record negativo con il numero più basso di polizze attive in rapporto alle imprese operanti sul territorio. Tuttavia, un segnale incoraggiante arriva dal fatto che, rispetto alla precedente rilevazione, il numero delle regioni sotto la media nazionale è sceso da 13 a 11.

Perché le imprese non si assicurano?

Le cause di questa scarsa diffusione sono molteplici e spesso intrecciate tra loro. Secondo Tommaso Ceccon, presidente di Pool Ambiente, uno dei principali ostacoli è la presenza di pregiudizi e disinformazione, sia tra le aziende che tra gli intermediari assicurativi, i media e le istituzioni.

Un altro limite è l’assenza di obblighi normativi a livello nazionale. Oltre al Veneto, infatti, non esistono in Italia leggi che impongano alle imprese la stipula di una polizza ambientale, nonostante le indicazioni europee – come quelle contenute nella Direttiva sulle Emissioni Industriali – prevedano una forma di responsabilità estesa per i danni causati all’ambiente.

Un rischio che costa caro… a tutti

I danni ambientali possono causare impatti devastanti sul piano economico, sociale e sanitario. In assenza di una copertura assicurativa, i costi di bonifica e ripristino delle risorse naturali ricadono direttamente sull’impresa responsabile. Ma se questa fallisce – ipotesi tutt’altro che rara – è la Regione a dover intervenire. E se neppure questa dispone dei fondi necessari, a pagare il conto è l’intera collettività.

“Quando non c’è la polizza incendio, ci rimette l’azienda. Ma se manca quella per i danni ambientali, ci rimettiamo tutti”, spiega Ceccon. “Non è accettabile che una comunità debba attendere anni lo stanziamento di fondi pubblici per bonificare un’area contaminata”.

L’assicurazione ambientale come leva ESG

Oltre a essere uno strumento di protezione, le assicurazioni green rappresentano un asset strategico anche per la competitività delle imprese. La loro adozione migliora infatti il rating ESG dell’azienda, elemento sempre più centrale nei processi di selezione dei fornitori, nell’accesso a finanziamenti e nell’attrattività verso gli investitori.

Secondo Flavio Sestilli, presidente di AIBA – Associazione Italiana Brokers di Assicurazioni e Riassicurazioni – “incorporare criteri ESG nella valutazione del rischio è già oggi un vantaggio competitivo. E domani diventerà un prerequisito”.

Il ruolo chiave dei broker e del settore assicurativo

Nel supportare questa transizione, i broker assicurativi possono giocare un ruolo decisivo. Spetta a loro infatti il compito di sensibilizzare le imprese, costruire soluzioni su misura e stimolare l’innovazione nei prodotti assicurativi.

Ma non solo. Anche il mercato è pronto a fare la sua parte: in Italia sono attive ben 20 compagnie assicurative specializzate nel rischio ambientale, molte delle quali fanno parte del Pool Ambiente. Il consorzio, nato nel 1979 dopo il disastro di Seveso, rappresenta oggi un punto di riferimento nazionale per la gestione dei sinistri ambientali e per la diffusione della cultura del rischio.

Tra i suoi membri figurano grandi nomi del settore come Generali, Unipol, AXA, Swiss Re, Munich Re e Vittoria Assicurazioni, solo per citarne alcuni. E la presenza di importanti riassicuratori garantisce al mercato la capacità necessaria per coprire anche gli eventi più complessi.

Un cambiamento culturale prima che normativo

Se è vero che una normativa nazionale più stringente potrebbe accelerare la diffusione delle polizze, è altrettanto vero che serve un cambio di mentalità. Serve una cultura del rischio ambientale che metta al centro la prevenzione, la responsabilità e la sostenibilità, prima ancora del danno.

“La polizza non è solo uno strumento di tutela, ma un segnale forte dell’impegno dell’impresa verso l’ambiente e la comunità”, ribadisce Ceccon. E conclude con un auspicio: “Sarebbe importante sviluppare un’azione coordinata, a livello nazionale ed europeo, per incentivare le imprese ad adottare strumenti assicurativi efficaci e consapevoli”.

Il futuro dell’assicurazione ambientale in Italia non dipende solo da obblighi normativi, ma da una visione condivisa tra imprese, istituzioni e intermediari. Un passo necessario non solo per la sostenibilità, ma anche per la resilienza e la competitività del nostro sistema economico.

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