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Investire in startup, perché questo può essere un buon momento
In Italia nascono ogni settimana nuove iniziative fortemente innovative e con buone prospettive di scalabilità. C'è una buona propensione all'investimento consapevole, anche e soprattutto nelle fasi early-stage
Congiuntura sfavorevole, altalena dello spread, crescita zero e prospettive di recessione: non è un momento semplice per il mondo degli investimenti, non solo in Italia. La brusca frenata dei titoli, anche negli USA, sta condizionando le scelte dei risparmiatori che di fatto hanno assunto una posizione attendista, nella speranza di tempi migliori.
Questo vale anche per il mondo delle startup? Lo abbiamo chiesto a Francesco Zorgno, business angel attivo da molti anni con attività di accelerazione e investimento in startup, fondatore del programma di accelerazione SeedMoney e di CleanBnB, la startup degli affitti brevi.
Francesco, è un buon momento per investire in startup?
Direi proprio di sì. Il grande interesse che questo mercato ha suscitato negli ultimi anni sta proprio nelle caratteristiche di questo tipo di investimenti, decisamente alternativi agli strumenti finanziari tradizionali e di norma svincolati da aspetti congiunturali.
Per quale motivo?
Le startup sono iniziative che, per definizione, stanno muovendo i primi passi sul mercato o che hanno avviato da poco il processo di sviluppo del proprio prodotto. La prospettiva di crescita non è quindi nell’immediato, ma su tempi più lunghi, che vanno al di là delle contingenze del momento.
Per le startup l’unica fonte significativa di finanziamento nel nostro paese resta il capitale di rischio, portato da business angel consapevoli dell’incertezza connessa a una nuova iniziativa, ma anche alle prospettive di crescita.
Una stretta del credito può però condizionare la crescita delle nuove iniziative, in un momento così delicato…
Per quanto riguarda il panorama italiano, l’indebitamento bancario tradizionale non è mai stata un’opzione percorribile dalle startup, in assenza di forme di garanzia o di metriche consolidate. L’unica fonte significativa di finanziamento nel nostro paese resta il capitale di rischio, portato da business angel che appunto siano consapevoli dell’incertezza connessa a una nuova iniziativa, ma anche alle prospettive di crescita.
L’approccio di chi investe dovrebbe quindi essere: se gli strumenti finanziari standard sono rischiosi, tanto vale rischiare un po’ di più e puntare a rendimenti ben maggiori. Come solo le startup possono offrire.
Normalmente è proprio così. Ma non dimentichiamo che le startup sono spesso solo una delle modalità di investimento a disposizione, in un portafoglio che di norma è più diversificato.
Quali sono quindi i parametri che dovrebbero spingere a investire?
Parliamo di aspetti connessi alla stessa startup. L’investitore deve credere nel modello di business. Credere nell’unicità del progetto e nella sua scalabilità in tempi ragionevoli. Deve avere davanti a sè un team di imprenditori competenti e motivati. Se mancano questi aspetti, non ci sarà nessun investimento. La congiuntura c’entra poco.
In cosa consiste il mondo delle startup early-stage?
Si tratta di una grande opportunità. Definiamo “early stage” quelle iniziative che ancora non hanno consolidato il proprio modello di business, e che quindi hanno la massima prospettiva di crescita (a fronte, è bene ricordarlo, di un maggior rischio di insuccesso). Se ne è parlato al Web Summit di Lisbona poche settimane fa: si tratta di iniziative che hanno attratto quasi 20 miliardi di euro di investimenti in Europa nel 2017, in fortissima crescita con Regno Unito e Francia in testa e l’Italia ferma a meno del 2%.
Esiste un modo per intercettare queste iniziative?
Non è semplice, perchè di norma le startup early-stage hanno pochi mezzi per farsi conoscere. In casi come questi è essenziale il ruolo dei programmi di incubazione o di accelerazione dedicati, come quello della nostra SeedMoney, o delle piattaforme di crowdfunding più strutturate.
L’Italia quindi è terreno fertile per le startup?
I numeri dicono di sì. Nel nostro Paese nascono ogni settimana nuove iniziative fortemente innovative e con buone prospettive di scalabilità. C’è una buona propensione all’investimento consapevole, anche e soprattutto nelle fasi iniziali, e la cultura da “business angel” si è molto diffusa negli ultimi anni anche grazie al ruolo cruciale di incubatori e crowdfunding. Il problema resta la fase successiva a quella di avvio, quella di scale-up per il quale di norma le nostre startup guardano all’estero in cerca di risorse e mercati di più ampia portata. Anche su questo, però, le cose stanno cambiando rapidamente, e in meglio.