Matteo Sola è HR, formatore ed esperto di digital HR transformation. Nella sua carriera, si è occupato soprattutto di formazione aziendale come strumento di cambiamento in contesti di digital transformation, specializzandosi nell’applicazione degli approcci digitali alle risorse umane, in particolare employee experience e agile management. In Talent Garden, la più grande piattaforma europea di spazi di coworking per talenti digitali, tra il 2016 e il 2019 ha ricoperto diversi ruoli occupandosi di formazione per le corporate, Talent Acquisition, Learning & Development ed HR business partnership per l’Italia e l’Irlanda. È stato “People Learning & Development Lead” per Musement, principale digital player del mondo delle destination experiences e parte del gruppo TUI, occupandosi in particolare dell’implementazione del sistema OKR, tematica per cui oggi è consulente per molte altre realtà.
Da fine 2020 è “HR Learning & Development Leader” di Iliad Italia, oltre ad essere Partner di Kopernicana, società di consulenza in ambito trasformazione organizzativa e new way of working. È inoltre fondatore e coordinatore scientifico del master in Digital HR della Talent Garden Innovation School e nella faculty dell’università Bicocca di Milano.
Con Matteo abbiamo parlato di organizzazione aziendale, anche per il mondo delle startup.
Che cosa intendi per agilità organizzativa in azienda? Perché connette il mondo startup con il mondo corporate?
Per agilità organizzativa oggi intendiamo molte cose. Il nuovo paradigma VUCA (Volatilità, Incertezza, Complessità e Ambiguità, ndr) è noto già da tempo, ma la pandemia ha reso ancora più evidente come la realtà in cui viviamo sia complessa, ambigua, volatile e incerta, ma anche come la velocità del cambiamento continuo renda sempre più difficile pianificare e controllare, per non parlare di prevedere il futuro. Non a caso è tornato di moda il concetto di antifragilità di Taleb.
Per questo le grandi corporate vogliono imparare dalle startup come essere più “agili”: più capaci di captare ogni genere di stimolo con i propri sensori, ora sempre più attivi sia verso l’esterno (mercati, competitor, professionisti, business in generale) che l’interno (le nostre persone e i loro bisogni, i feedback dei colleghi, le dinamiche interne) e reagire di conseguenza, cambiando rapidamente direzione quando serve.
Agilità significa abbattere muri e barriere, connettere ed ibridare (mestieri, professioni, risorse), mettere a fattor comune e sperimentare più di ogni altra cosa. Buttarsi (in modo ragionato) per scoprire cose nuove e metterle alla prova con la realtà, invece di progettare la soluzione perfetta (che non esiste) per anni e poi scoprire che è perfetta, ma il paziente nel frattempo è morto (e da mesi).
La startup nasce per questo, perché è intrisa di coraggio e di velocità
La startup nasce per questo, perché è intrisa di coraggio, di velocità (che è la velocità imposta dalla tensione alla sopravvivenza) e di un purpose forte, mentre tutti gli altri devono imparare a ragionare di più in questa chiave.
Le barriere stanno cadendo (se non sono già cadute) e viviamo una nuova era della sperimentazione continua.
E l’Agile HR?
L'”agile” in senso stretto è per me una filosofia e un mindset, in primis organizzativo, che tento di portare nel mio lavoro tutti i giorni, ora passato dal contesto “coding” originario alle altre funzioni, per esempio l’HR. Riesce a farlo perché in realtà è un tema di coordinamento di persone e di progetti in una certa ottica.
Poi (solo in seguito) rimanda a un insieme di metodologie e strumenti utili a stimolare e gestire questa sperimentazione, a cambiare, a evolvere attraverso ragionamenti, riflessioni e messa a fattor comune di talenti diversi. Un patrimonio che varia a seconda del contesto e dello scopo e che molto può essere utile ad HR e management in generale, per contaminarsi con l’ecosistema digital e non solo. L’HR deve diventare più agile in prima persona e più in grado di supportare e diffondere l’agilità negli altri.
Come declini l’agilità per una startup?
Quando mi capita di supportare una startup o scale-up, un acceleratore o un incubatore come consulente di Kopernicana, ragiono sul tema del difficile equilibrio che bisogna trovare tra il “darsi una struttura” tanto caro ai fondatori e al management quando le cose iniziano a funzionare e sembrano scappare di mano e l’esigenza delle persone di “rimanere agili, rimanere noi stessi”.
Le grandi corporate vogliono imparare dalle startup come essere più “agili”: più capaci di captare ogni genere di stimolo con i propri sensori, ora sempre più attivi sia verso l’esterno che verso l’interno
Le due cose non sono in contrapposizione, dipende dal come ci lavoriamo. La chiave sta nel non copiare le corporate del passato e fare le cose come sono sempre state fatte (magari assumendo alcuni mega manager che non conoscono il nostro contesto e cultura, perché difficilmente questi innesti funzioneranno) ma sperimentare e trovare la nostra strada per crescere, investendo sulla capacità delle nostre persone, pur facendosi aiutare da consulenti e mentor che ne hanno viste tante. Non è un tema solo di compromessi: dobbiamo rimanere agili pur diventando grandi.
Che dritte daresti a uno startupper?
Di fare alcune cose:
– Di chiarire e poi comunicare sempre al meglio il proprio purpose originario, perché è la forza della sua organizzazione
– Di investire nel disegno del proprio business model, connettendolo bene al purpose, all’impatto che si vuole portare. Senza un modello di business sostenibile, che includa nella parte “risorse chiave” le persone di oggi ma anche quelle potenziali di domani, che lavoreranno per noi prima ancora che esistano e servano davvero nel contesto attuale, non si dura a lungo.
– Di chiarire le priorità strategiche e il modo di allineare le persone, utilizzando da subito strumenti come gli OKR (che ci aiutano anche a rimanere agili), perché l’eccesso di divergenza e la mancanza di focus nel lavoro delle persone possono uccidere di più della mancanza di soldi.
Di non farne altre:
– Non avere fretta di dotarsi di grandi processi (magari vecchi) e di manager, in un mondo dove i manager saranno sempre di meno, non di più.
– Non tardare troppo ad investire in persone che si occupino di altre persone in azienda o in competenze HR in generale. Ho visto troppo spesso “correre ai ripari” quando si hanno già 80, 100 persone o più, rendendosi conto che non si è fatto altro che assumere (con o senza criterio) per sostenere la (presunta) crescita del business, per poi ritrovarsi senza capacità di gestire quelle persone: di sostenere la crescita e il benessere, di salvaguardare il senso di equità interna, di costruire una vera people experience dando risposte ai bisogni concreti in modo sostenibile ecc.
– Non pensare che il senso di quello che si sta facendo possa rimanere per sempre come qualcosa di ovvio: forse (forse) per i founder sarà così anche dopo 5 anni, ma per tutti gli altri, se il purpose non verrà ribadito, ripetuto ed alimentato continuamente (creando in questo modo una vera cultura nel tempo), l’ambiente di lavoro e il significato di quel lavoro non verrà percepito nello stesso modo.